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  • Speaking Things, 2010, id11, Delft – Netherland

    Una volta occupato uno spazio o preso possesso di un terreno, questo va misurato. Se misurare lo spazio è la condizione necessaria per vantare su di esso delle aspettative e sperare di toglierlo dall’anonimato, è solo con la sua misurazione che ne stabiliamo grandezza e forma e che ci spingiamo fino a quelli che decidiamo essere i confini del nostro possesso. Mentre misuriamo questa realtà, per toglierla dal disordine generale e organizzarla a nostro piacimento, ne stabiliamo provvisoriamente i suoi limiti, la rendiamo in qualche modo evidente. A volte dipende dai luoghi e dall’uso che l’uomo ne fa, la misura è data dal numero di palmi, di piedi, di braccia o da quello delle pertiche, dei metri, dei chilometri necessari a descrivere tutto il perimetro del nostro campo.Altrove può essere fatta ad occhio, partendo da un punto che diventa repentinamente il centro della terra, l’Omphalos, e stabilendo il confine la fin dove arriva lo sguardo. Oppure si può sostituire alla vista l’udito e usare la voce, il canto per disegnare i limiti entro cui muoversi. Altre volte ancora la misura dello spazio è data dal tempo necessario a percorrerlo interamente. (Zanni, Significati del confine, 1997).   Speaking Things Il progetto soddisfa il desiderio si conoscere una nuova città, che non si è mai vista prima. Vuole scoprire una nuova realtà urbana chiedendo collaborazione agli abitanti. Si cercherà di coinvolgere i cittadini attivamente nella realizzazione dell’istallazione. Recuperare gli oggetti sarà il primo punto di contatto tra l’artista e la gente e un primo approccio con il luogo. Nella loro riproduzione fotografica gli oggetti diventano racconto. Attraverso le storie che descrivono gli oggetti e inevitabilmente i loro proprietari il progetto accompagna il visitatore nei diversi luoghi e tempi della città.