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  • Torino. Percorsi urbani, 2007, Studio, Torino

    «Gli elementi primari si configurano come quegli elementi che con la loro presenza accelerano il processo della dinamica urbana. Questi elementi… possono identificarsi con dei fatti urbani definiti, un avvenimento e una architettura che riassumono la città», scrive Aldo Rossi (“L’architettura della città”, 1970). La sede del mercato dell’abbigliamento progettata da Massimilano Fuksas a Porta Palazzo, il Palavela di Gae Aulenti, la risistemazione del piazzale Valdo Fusi, l’Atrium, i “gianduiotti” di piazza Solferino, sono tra i luoghi emblematici dello sviluppo urbanistico torinese che potrebbero ipoteticamente “riassumerlo”. Icone della metropoli Torino, questi cinque interventi architettonici, tuttora oggetto di pubblico dibattito, in virtù della loro problematicità sono stati selezionati da Barbara De Ponti come soggetto di altrettanti “disegni” di grandi dimensioni, realizzati piegando la carta da spolvero, una tecnica che l’artista ha utilizzato fin dall’inizio del suo percorso. La tecnica sembra semplice, ma non lo è. Seguendo lo schema di un disegno assonometrico che si forma innanzi tutto nella mente, l’artista piega la carta lungo le linee che lo compongono. Steso in precedenza sul foglio in maniera uniforme, il colore si incrina e cade lungo le piegature. La carta può essere piegata più o meno volte lungo la stessa direttrice, provocando una maggiore o minore perdita del pigmento grazie alla quale si ottiene un disegno non uniforme nel segno. L’immagine emerge dall’intersezione delle “stropicciature”. E’ un procedimento di astrazione. «La costruzione prospettica astrae radicalmente dallo spazio psico-fisiologico… il suo fine è di… trasformarlo in spazio matematico» (Erwin Panofsky, “La prospettiva come forma simbolica”, 1924). Riduzione bidimensionale di una spazialità tridimensionale, anche l’assonometria propone uno spazio omogeneo e costante, antinomico a quello percepito sensibilmente. Le architetture di Barbara De Ponti sono sottoposte a questo processo. L’artista le isola sul foglio, le priva del contesto. L’intorno, la molteplicità caotica dell’imprevisto urbano sono assenti. La solitudine che le racchiude le rende iconiche, prive di coordinate spazio-temporali, dotate di un carattere di “eccezionalità” che si trasforma in “visionarietà”, come se incarnassero il sogno di una modernità e di uno sviluppo senza inciampi, senza incertezze. Ma i “disegni” sono retroilluminati. Una luce illumina un particolare. Quale? Il punto debole, forse, il punto critico. E’ un segno di attenzione, un campanello di allarme. C’è qualcosa che la certezza matematica della rappresentazione geometrica non racconta. C’è altro, che il totem non riesce a inscrivere nella sua forma. Già l’artista sembra introdurre un dubbio: le linee rette, che corrispondono all’incrocio dei piani assonometrici e che dunque hanno origine nel disegno geometrico, sembrano al tempo stesso negarlo, espandendosi oltre i limiti dell’immagine, oltre i confini del foglio. Altri due sono i luoghi oggetto del lavoro di Barbara De Ponti: la Spina e la “corona verde”. Area ex industriale in corso di recupero lungo la ferrovia, la Spina è il soggetto di un lavoro formato da una serie di “disegni in chiaro”. La carta da spolvero è ricoperta di pigmento sul retro così che le piegature assorbono il colore invece che perderlo. Ciascun disegno è diviso in due parti: a sinistra la sintesi planimetrica della zona, che si ripete identica di foglio in foglio; a destra gli interventi non ancora realizzati, tratti da disegni di progetto. Non lo stato di fatto, ma ciò che il futuro promette. La “corona verde” che cinge Torino diventa invece un fregio. La planimetria si trasforma in decoro, verde sintetico, in pvc, che ambiguamente gioca con le potenzialità visive dell’ornamento nascondendo le qualità rappresentative e orientative della mappa. Interrogandosi sulla forma urbis di una metropoli attraversata da profonde trasformazioni, Barbara De Ponti si chiede attraverso quali immagini raccontarla, indicarla, rappresentarla; alla ricerca della sua figurabilità, l’artista propone con il progetto “Torino. Percorsi urbani” una verifica sulla funzione degli strumenti concettuali di rappresentazione dell’urbano, in primo luogo il disegno progettuale e la mappa. Una verifica di ciò che dicono e non dicono. Una figurabilità che si può raccontare in altro modo, attraverso la parola, forse, oltre la convenzione di un segno che non può restituire il flusso molteplice dei sentimenti del vivere urbano. Le mille parole atte a definire Torino pronunciate da altrettante persone, che costituiscono l’installazione sonora udibile solo a distanza ravvicinata, registrate dall’artista per strada, parlano di un’altra mappa della città. Evocano immagini che esprimono quelle forme e rapporti che, come diceva Henri Lefebvre (“Il diritto alla città”, 1968), «non l'architetto, né l’urbanista, né il sociologo, né l'economista, né il politico possono con un decreto tirare fuori dal niente».
    • Catalogo mostra ‘Torino.Percorsi urbani’. 2007, Ermanno Tedeschi Gallery e Studio, Torino. La figurabilità di Torino di Alessandra Pioselli