Interazioni. Strutturaspazioluce di Matteo Galbiati – Espoarte 51, 2008

Una doppia personale, o meglio, una personale a due, la mostra di Carlo Bernardini e Barbara De Ponti si è configurata secondo questa insolita caratteristica: i due artisti hanno lavorato in stretta relazione offrendo le reciproche opere-intervento non solo come proposta singola, ma anche come strumento che realizzasse un unico evento percettivo, da leggersi nel suo esteso e variegato valore d’insieme. Nella visione necessaria della penombra- il presupposto spaziale nuovo legato all’ambiente in cui avviene la manifestazione delle opere- si dispongono i lavori luminosi dei due artisti, nei quali proprio la luce diventa protagonista principale. Barbara De Ponti, che già aveva presentato in questa stessa galleria, opere con carte piegate legate all’architettura del razionalismo com’asco, lascia intuire da questa ultima serie di lavori un’attenzione all’interiorità: invita a guardare al dentro delle sue strutture, per ritrovare le energie interne che la formano, di cui la luce è solo un timido e tiepido segnale di superficie. Le opere nere si muovono attraverso pieghe e solchi nella dialettica dell’intervento-segno e della luce-forma. In Bernardini la luce è resa sensorialmente ambigua, intrecciando la sua tangibile impronta segnica di leggerezza a quella solida dei tracciati in acciaio. Le forme di questi due elementi si tessono l’una nell’altra rimandando, in un equilibrio relazionale, al loro specifico valore visibile-sensoriale e intuitivo-concettuale. La sua forza diventa l’energia mobile in questo scambio, accentuata e potenziata dalle grandi dimensioni scultoree e dal loro lieve – quasi antitetico rispetto alla grandezza – impatto di presenza.

La diversità, che diventa rigorosa analogia, dei due autori porta questa mostra ad essere formalmente riuscita nell’intento di registrare una avvenuta interazione di ricerche e opere. Strutturaspazioluce racchiude tutte le coordinate di senso in cui si muove l’orizzonte concettuale dei lavori: la struttura dell’opera e dell’ambiente si legano alla dimensione spaziale nella sottolineatura di un senso nuovo, re-interpretativo, dato dalla luce. Il fruitore si trova a vivere in un’insolita situazione nel potersi riferire all’opera in una pluralità sensoriale non così frequentemente riscontrabile nelle opere d’arte: vive l’assenza di luce atmosferica resa presenza dalla luce materia delle sculture e delle carte; la negazione dello spazio ambientale come assolutizzazione del contesto nel prevalere dell’opera; il rapporto di estensione dalla bidimensionalità pittorica alla tridimensionalità scultorea, tra interiorità dell’energia vitale e la sua affermazione esteriormente viva.
Non si possono considerare quindi queste opere legandole semplicemente ad un aspetto di pura contemplazione, ma è indispensabile una lettura specifica nel fenomeno, nella contingenza, nell’occasione, in un susseguirsi ampliato, diramato e stratificato di più, e sempre maggiori, soluzioni possibili, connesse e rivolte non solo all’individualità degli artisti, ma anche, e soprattutto, a quelle proprie degli spettatori.